Il castagno (Castanea_sativa) è stato ampiamente diffuso dall'uomo, ed occupa una parte notevole della superficie forestale del territorio comunale. Il castagno è stato introdotto in ambienti naturalmente riservati alle querce, ove le condizioni del suolo lo permettevano. Generalmente vegeta su terreni silicei, o siliceo-argillosi, freschi e profondi, è infatti una specie a tendenza acidofila. Sia nei riguardi della temperatura, sia nei riguardi dell'acqua si può considerare come pianta mesofila. Gli estremi altimetrici tra i quali lo si ritrova, vanno dai 300 m, in corrispondenza della fredde valli dei torrenti Uscioli ed Argomenna, fin quasi ai 900 m (Monte Giovi).
Attualmente i castagneti da frutto sono circoscritti a piccolissime superfici, la forma più diffusa e quella cedua, con la frammentazione in numerose particelle da cui le varie fattorie traevano i pali per le vigne. La diffusione dei castagneti da frutto è stata drasticamente ridotta da due gravi malattie: il mal dell'inchiostro (Phytophora cambivora) e il cancro corticale (Endothia parasitica). Nei rari casi in cui possiamo imbatterci in qualche vecchio esemplare, sarà facile notare il tronco cavo, talvolta di grandi dimensioni (segno di una pianta secolare), che porta traccia delle bruciature praticate per combattere i parassiti. Questi vecchi castagni sono ormai un monumento vivente, un ricordo dei tempi in cui si coltivavano come l'albero del pane di montagna.
Nei castagneti da frutto si praticavano lavorazioni e concimazioni tanto da poter essere considerati alla stregua di terreni agrari. Il sottobosco era costantemente ripulito e, nei terreni meno declivi, si arrivava alla semina di cereali primaverili e di mangimi per il bestiame. Il terreno veniva preparato bruciando foglie secche e piante del sottobosco, e spandendo poi le ceneri con la zappa. Questa intensa e prolungata influenza dell'uomo è uno dei motivi per cui i castagneti, anche oggi, non sono ricchi di specie nel loro sottobosco.
Spesso in castagneti lasciati abbandonati, si osserva una massiccia presenza di giovani alberi ed arbusti dei boschi di querce, segno di un progressivo ritorno verso il bosco naturale. Questo è riscontrabile sulle pendici meridionali del Poggio Ripaghera, fra il Pratellino (619 m) e Masso al Piano (727 m) dove nel piano dominante, assieme al castagno, si trova il cerro (Quercus_cerris), l'orniello (Fraxinus_ornus) e il carpino nero (Ostrya_carpinifolia). Nel piano dominato, oltre alle specie sopra citate, vegetano l'acero fico (Acer_pseudoplatanus), nocciolo (Corylus_avellana), biancospino (Crataegus_monogyna), acero campestre (Acer_campestre) e sorbo torminale (Sorbus_torminalis). I piani inferiori sono invece occupati da ginestrella (Emerus_major), felce aquilina (Pteridium_aquilinum), cruciata (Cruciata_glabra), ligustro (Ligustrum_vulgare), rovo (Rubus_ulmifolius) ed edera (Hedera_helix).
Oltre alle specie tipiche delle zone dove il castagneto è stato introdotto, esso accoglie anche specie del piano superiore, fra le più comuni si rilevano: orniello, cerro, carpino nero, nocciolo, felce aquilina, ginestra dei carbonai (Cytisus_scoparius), brugo (Calluna_vulgaris), billeri (Cardamine_bulbifera), geranio (Geranium_nodosum), anemone (Anemonoides_nemorosa), olivella (Daphne_laureola), elleboro (Helleborus_viridis) e bugula (Ajuga_reptans).